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RUGGIERI: Decenni di alta moda, fantasia, innovazione nel cuore della città

Tra commercio, socialità e la crisi innescata da centri commerciali e vendite on line.

“Ci rifaremo, qualità e assistenza personalizzata pagano sempre. Presidenti della giunta e sindaci? In tanti hanno scelto e scelgono da noi” racconta Innocenzo Ruggieri

Una storia che intreccia alta moda, gusti, vezzi e tendenze di una città, troppo spesso sonnolenta. Ma anche un percorso commerciale e sociale, ricco di intuito e managerialità. Più, tanta passione. “Sì, senza un animo passionale e di amore per le cose che si fanno, non si costruisce nulla”. Innocenzo Ruggieri, a Cagliari per tutti Lilli, ha i tempi e l’istinto del pivot. Non avesse giocato a calcio, discreto difensore centrale, e, soprattutto mietuto record nazionali con le casacche di Amsicora e Cus Cagliari nella regina degli sport, l’atletica leggera, sarebbe potuto essere un buon giocatore di pallacanestro. Precursore-pioniere del pret-a-porter, capace di dare una sterzata ad abitudini e standard consolidati nel mondo dell’abbigliamento, ha guidato nel capoluogo regionale una sorta di piccolo grande impero. “Non esageriamo. Anche se è vero che siamo stati i primi a capire negli anni Sessanta che a Parigi stava nascendo qualcosa di innovativo. E abbiamo anticipato tutti anche sul concetto di moda di qualità. Tanto da scommetterci forte: abbiamo avuto sei negozi nella sola via Alghero. E anche le esclusive di Prada e Fendi sono state nostre”. Insomma, una visione dinamica e accattivante al tempo stesso. Capace di leggere tra le righe di una città che nella sua indolenza non si accontenta e va a caccia di novità. Rapido nel percepire il mutamento di gusti e abitudini, Lilli Ruggieri è testimone-testimonial di un’epoca costituita da tante storie. Legittimamente orgoglioso della laurea in Economia (“Lavoravo in negozio con i miei fin da ragazzino, portare a termine gli studi non è stato semplice”), con indosso abito e scarpe nere, camicia bianca e cravatta giallo limone con quadrini verdi in tinta, il tutto iper griffato, si concede un sorriso quando si parla di futuro: “Tra dieci anni penso che sarò sempre qui, magari con ritmi più blandi, a fare quel che mi piace. E godermi gli amici”. Il colloquio è del 15 novembre scorso. Cagliari è inumidita dallo scirocco. Il traffico da piazza Repubblica alla via Sonnino scivola leggero. Le vetrine di “Ruggieri” sono addobbate. “La storia siamo noi” canta Francesco De Gregori. Lilli, preferisce Bill Withers, Mina e Frank Sinatra.

Partiamo dal via. Come e quando arriva la famiglia Ruggieri da queste parti?

I miei nonni, Innocenzo e Lucia provengono dall’Abruzzo. Cercano lavoro, affari, serenità. Mio zio Alfonso raccontava che volevano fare fortuna. Comunque sia, si stabiliscono a Cagliari, concepiscono e tirano su undici figli che intorno agli anni Trenta hanno preso per la quasi totalità strade proprie.

Passo indietro. Qual è l’attività predominante?

Il commercio all’ingrosso e al dettaglio di tele, stoffe e simili. Mio nonno agli inizi del secolo scorso ha aperto il classico emporio nel portico Sant’Antonio in via Manno. Si poteva trovare di tutto, dai tessuti a quadri, oro, valigie.

Qual è il passaggio successivo?

Mio padre Ferdinando nel 1930 ha puntato su tessuti, telerie, coperte e altro in piazzetta Savoia. Mio zio Alfonso, il più lungimirante, ha aperto una vetreria in via Roma, una mia zia ha avuto un’oreficeria, gli altri si sono occupati di quadri e tendaggi. Il tutto, come è comprensibile, con alterne fortune.

Si esce dalla guerra, Cagliari e i Ruggieri crescono. E ripartono di slancio. Come e perché?

Nel 1951 mio padre aprì un negozio di calzature in via Manno. Lo chiamò “Anny”, in omaggio a mia madre, in seguito lo ribattezzai “Ruggieri”. Avevo 10 anni. Con le mie sorelle Maria Luisa e Lucia e mio fratello Ruggero, seguivamo curiosi e attenti le imprese di famiglia.

Che periodo era?

Erano anni di crisi del tessuto e ancora non era ripartito il boom economico. Però, qualcosa si avvertiva. Nei primi anni Sessanta, con mia sorella Maria Luisa abbiamo percepito che da Parigi si stava propagando nel mondo un nuovo modo di abbigliarsi. Era l’alba del pret-a-porter, ovvero i primi passi per le confezioni di alto livello. Un prodotto inesistente in Italia, dato che si trovavano solo pochi abiti prodotti da aziende che facevano le divise ai tranvieri.

Qual è stata la svolta?

Aver deciso di andare a Parigi per capire e vedere da vicino quello che era una rivoluzione, anche culturale, del settore. Da qui, nasce la nostra sfida. Abbiamo importato per primi a Cagliari il pret-a-porter, per poi aprire i primi negozi in via Alghero. Le marche erano di primo piano, da Cacharel a Hermes, Ted Lapidus e altre. Da subito ci fu una buona risposta che si è poi consolidata. Parliamo di abbigliamento parigino di grande qualità, fino ad allora sconosciuto in Sardegna.

In breve, la sartoria e le griffe internazionali avevano la culla in Francia?

Sì. Scegliendo Parigi non si poteva sbagliare, era il centro della moda. Mentre adesso, la capitale francese divide lo scettro con Milano: la fashion week è al top e dal “Milano vende moda” fino al “Modit” e al “White”, si ha la certezza di trovare le collezioni di pregio e tendenza. Comunque, si deve dare sempre uno sguardo a quel che nasce e viene presentato a Londra e New York. Mentre, per stare in Italia, Firenze ha risonanza per l’uomo con Pitti.

Come vestiva quella Cagliari?

Molto bene, ci teneva. Adesso, l’orientamento per un vestiario e un abbigliamento di qualità ha perso d’importanza. Negli anni Sessanta il bel capo e l’automobile erano da sfoggiare. L’eleganza dava credibilità. Un abito Flying Cross non poteva mancare nei guardaroba delle persone che contavano.

Capi esclusivi e quasi unici. Quando compare il casual?

Premesso che per noi è sempre stato meno importante, siamo stati i primi ad avere “Giorgio Armani”, sia da “Seventy five” in via Roma, sia qui in via Alghero. E più avanti abbiamo aperto “Emporio Armani” in via Sonnino. Quello è il periodo del debutto delle nostre boutique “Fendi” e “Prada”.

Che sfida è stata?

Impegnativa. Basti dire che abbiamo avuto queste grandi firme in franchising. Si affittava o comprava il locale che andava arredato seguendo rigorosamente il loro format e le loro indicazioni.

Quali erano i budget dedicati all’abbigliamento griffato dalle fasce dei cittadini più abbienti?

Anche se ho sempre dato particolare attenzione ai prezzi, abbiamo avuto clienti che hanno speso anche un centinaio di milioni spalmati nelle quattro stagioni.

In genere, chi spende di più, la donna o l’uomo?

Diciamo che i capi, gli accessori e le scarpe femminili sono un tantino più costosi. Da esclusivista per oltre dieci anni di “Hermes”, credo che la borsa “Kelly”, che vendevamo a cinque milioni di lire, sia stata uno dei must più ricercati. Adesso, Burberry, Karl Lagerfeld, John Richmond, Versace, che avremmo la prossima stagione, Donna Karan propongono pezzi davvero belli. Ma non si arriva al costo di una borsa Hermes. La Kelly non è in vendita, si entra in una lista d’attesa, arriva dopo otto mesi e costa ottomila euro. Ma per quelle in struzzo o coccodrillo si arriva a pagarle venticinquemila euro.

Voltiamo pagina. Commercio ma anche socializzazione: la boutique “Ruggieri” in via Alghero è stata anche un ritrovo della Cagliari bene. Come e perché?

Per il passa parola, la centralità, le novità, il sapere che si incontravano le persone giuste, nascevano amicizie, flirt, matrimoni. E si trovava sempre il modo di partecipare a una festa o un evento dove ci si divertiva. Ci sono periodi che qui in via Alghero certe sere era persino difficile camminare tanta era la gente a passeggio. In tanti passavano qui da me quasi come fosse andare in un caffè. Un momento di condivisione e ritrovo. Sì, forse è vero, c’è stato un pezzetto di Cagliari che si è riconosciuta nelle iniziative mie e dei miei amici.

Insomma, tutto fila liscio nella “via Condotti” della città del mare e del sole. Poi, cosa accade?

Che negli anni Duemila diventano impattanti su scelte e costi, a discapito della qualità e dell’assistenza, i centri commerciali. Questa è stata la prima mazzata. A seguire, ha fatto la vera differenza l’avvento delle vendite su internet.

Quali sono, se esistono, le vostre responsabilità?

L’analisi è complessa e in corso. Forse, potevamo riorganizzarci e trovare contromisure per tempo. Ma sono fiducioso: sento che alla fine verrà premiato chi dà assistenza e consigli che nessun altro, meno che mai al supermarket o sul web, può darti. La clientela ha la necessità e sa apprezzare i consigli. In fondo, come è venuta la moda dell’abito sartoriale, tagliato e cucito sulla persona, con l’assistenza del commerciante, prima o poi, la gente si accorgerà che se vuole vestirsi meglio degli altri, non potrà affidarsi all’acquisto per corrispondenza o mei grandi magazzini.

Ma rimane il rapporto qualità/prezzo?

A Roma un amico vendeva la cravatte più care di tutti gli altri. Mi diceva che sulle sue mille cravatte esposte, tutte molto belle, nessuno poteva sbagliare la scelta. Mentre, chi le vende a meno ne ha appena duecento meritevoli.

Torniamo al presente. Immaginiamo Cagliari come una bella donna. Quale sarebbe la mise?

La vestirei sobria. Tacco medio, da sette e non da dodici come vedo su tante ragazzine. Al mattino può andare anche la “pianella”, tacco basso e comodo, magari una Steve Madden, stilista americano. Non hanno un prezzo eccessivo ma sono carine. Ma su questi temi, occorre una premessa: a Cagliari si esce e si sta con lo stesso vestito fino a notte. Nelle grandi città, ci si cambia dal mattino al pomeriggio. Personalmente, alla sera preferisco un abitino piuttosto che i pantaloni. Ma per le donne sono più comodi e aiutano a nascondere qualche difettuccio.

Quali sono i colori vincenti?

Il nero sta bene sempre. Ma anche il marron abbinato al blu sta andando. Saranno questi i toni dell’inverno, con argentati e dorati. Ma segnalo l’importanza del soprabito. In cachemire, di Burberry. Fantastico.

C’è una novità che sorprende?

Sì, le scarpe bianche. A Natale e d’inverno si indossa lo stivaletto bianco lucido. Tutti gli stilisti lo propongono e la reazione delle signore è buona.

Clientela top, chi rientra nella lista dei fedelissimi?

Ho avuto tanti presidenti della giunta regionale. Ricordo con affetto Mario Melis, forse il più complicato per il fisico importante. Ma era sempre molto affabile. Tra i sindaci, penso alla famiglia Floris, dal patron Mario a Emilio e le famiglie. Ma anche Massimo Zedda e i suoi sono nostri clienti.

Quali sono le parole adatte per conquistare l’interlocutore?

Variano ma di certo quelle, assieme ai modi giusti, da usare con le belle donne, sono da pesare con molta attenzione. Se fai centro, la donna diventa amica ma è importante stabilire un’empatia. Senza si hanno grandi difficoltà.

Dottor Ruggieri, potesse tornare indietro?

Sono contento delle scelte che ho fatto. Ho studiato e lavorato, ho usato la laurea per la mia professione e l’anno scorso ho incontrato per una cerimonia dell’ateneo di Cagliari, con il rettore che ci ha premiato per i cinquant’anni dalla discussione della tesi, i miei colleghi di corso. Sì, rifarei tutto daccapo.

di Mario Frongia


Lilli Ruggieri fondatore Negozi Ruggieri

Via Alghero, 23 – Cagliari • Tel. +39 070 660127

www.ruggieriabbigliamento.it