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Sciola: “Il canto dolce delle mie pietre”

di Donatella Percivale


Le sue pietre, e il loro canto, stanno facendo il giro del mondo: da Padova a Shangai, da Firenze a Madrid, via San Sperate.

A Cagliari, però, un suo murale commissionato trenta anni fa dalla Rinascente è stato cancellato senza che nemmeno fosse avvisato. Una mancanza di buon senso, una sconfitta dell’arte. Lui, Pinuccio Sciola, non si scompone, e ammette: l’ho saputo dai giornali. “E’ come quando si legge un necrologio di un amico” commenta, la voce malinconica e un po’ pesante, le mani grandi e nervose a tessere ragnatele di pensieri. La patria di Pinuccio è la Sardegna, i suoi monoliti di granito, i suoi silenzi irreali. Una patria che spesso gli si conficca nel fianco, e che gli fa male, come una spina. Mostre, titoli, riconoscimenti arrivano soprattutto dall’altra parte del mare. L’isola sembra essere più severa, disattenta al suo lavoro d’artista che, a detta di un grande come Gillo Dorfles, “ogni volta ha il sapore di un evento sacro”. Ma non è solo la disattenzione a ferirlo. E’ lo sguardo della sua gente, dei suoi giovani, che gli fa paura. “C’è qualcosa che si è rotto: chi ha il lavoro non lo ama, chi non ce l’ha cerca la fuga. La nostra infanzia non era così drammatica o, forse, come diceva un mio amico poeta ‘Noi non sapevamo di essere così poveri’.

Oggi il problema è ‘Cosa mi metto stamattina?’, ‘Come pago la ricarica del cellulare?’. La terra sotto ai nostri piedi, all’improvviso, è diventata troppo bassa, non vedo più nessuno che abbia voglia d’inchinarsi a coltivarla”. Uno spreco di risorse che sta diventando una condanna.

Una ricchezza facile che sta polverizzando i cervelli. E frotte di giovani sardi che invece di inchinare la schiena emigrano, fuggono da un destino che gli è stato rubato. “Anch’io da studente sono scappato, e ho viaggiato. Ho dormito per terra e nelle panchine delle stazioni, ma la mattina ero il primo a fare il biglietto del museo, non in coda per i saldi di Prada”. Forse, questa crisi ci costringerà nuovamente a rimettere in moto i meccanismi fondamentali: amore, solidarietà, coraggio, umiltà, fatica. “Perché senza questi ingredienti non si va da nessuna parte. Camminare, guardare ogni giorno la luce del sole, stringersi la mano, sapersi confidare. Sono questi gli insegnamenti fondamentali che ho appreso all’Università della Natura. Ai convegni si riempiono la bocca con la parola ambiente e tutela, ma dietro ogni tutela c’è sempre una speculazione. Non abbiamo più la consapevolezza di quanto vale la nostra terra. E di quanto sia dolce il canto delle nostre pietre”.